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Tag Archives: Massimo Barale

Ricordando Massimo Barale – II parte

27 Sunday Sep 2015

Posted by Danilo Manca in Senza categoria

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Edoardo Raimondi, Guido Frilli, Massimo Barale, Michela Santangelo

Tre giorni fa purtroppo è venuto a mancare Massimo BARALE, docente emerito di Filosofia Teoretica presso l’Università di Pisa. In qualche modo il Prof. Barale ha ispirato la nascita del nostro gruppo di ricerca, sin da quando nell’a.a. 2010/2011 accolse all’interno del proprio corso il seminario di lettura hegeliane nato un anno prima per iniziativa di una manciata di studenti. In quel contesto sono nate molte amicizie, anche qualche amore, che poi hanno formato l’ossatura del nostro gruppo di ricerca.

Vogliamo rendergli omaggio raccogliendo su questo sito i ricordi di coloro che sono stati suoi studenti. Chiunque voglia può inviare il suo personale ricordo all’indirizzo email zetesis@unipi.it.

Di seguito i ricordi di Guido Frilli, Edoardo Raimondi e Michela Santangelo:

SUL LINGUAGGIO DELLA FILOSOFIA. UN RICORDO DI MASSIMO BARALE

di Guido Frilli

Il mio primo impatto con le lezioni del professor Barale fu, a esser clementi, di forte perplessità. Era difficile dire, sulle prime, cosa distinguesse il suo corso da una faticosa dettatura di appunti privati, per di più redatti in stile astruso e senza alcun riguardo verso l’eventuale comprensione dell’uditorio. A tratti, pareva quasi che il professore si rassegnasse a questo esito desolante, rallentando la lettura e scandendo le frasi in modo da agevolare una rigida trascrizione di ogni parola e di ogni virgola.

Impegnata in una copiatura meccanica e apparentemente senza senso, la mia mente vagava disattenta, con discontinue velleità d’intendimento, e si soffermava spesso sulle buffe caratteristiche del dettatore. Davanti a noi sedeva un signore corpulento, in curiosa giacca celeste chiaro, quasi ancorato alla cattedra e chino su minuscoli quaderni fittamente annotati. La sua testa si alzava spesso – non, tuttavia, per guardare noi, ma per scrutare dei punti in lontananza, e continuando a parlare come se stesse leggendo. Sembrava che i suoi occhi, dietro gli occhiali spessi, inseguissero senza posa cascate di frasi sparse ovunque sulle pareti e sul soffitto, vergate nella stessa calligrafia indecifrabile che ricopriva i suoi blocchi di lavoro.

L’abnorme sintassi di quelle frasi era senz’altro la cosa più sconvolgente. Con una percettibile eco di tedesco filosofico dei tempi passati, i discorsi di Barale accavallavano subordinate che rincorrevano indefinitamente la propria principale, posponevano o anticipavano i verbi in modo spiazzante, erigevano cattedrali barocche di condizionali e composizioni intricatissime di congiuntivi, irridevano ogni normale utilizzo del punto.

Mi ci volle un po’ per capire che, in realtà, lo stile di scrittura di Barale non era un esercizio pomposo di magniloquenza, magari a compensazione del difetto di arte oratoria. Si trattava in verità di un lavoro intenso, passionale e maniacale del pensiero sulle proprie condizioni di espressione linguistica. Sfidando ogni comune parametro estetico e funzionale, Barale aveva forgiato negli anni un irripetibile idioma filosofico: non un linguaggio tecnico, ma uno strumento elastico, certo non immediato, a servizio del proprio enorme e debordante desiderio di pensare, di tradurre ogni evento, ogni autore, ogni argomentazione nel discorso infinito delle ragioni.

Mi resi conto che quel linguaggio non era altro che il corpo vivente di un pensiero, di un ordine intelligibile e plastico di comprensione delle cose; la violenza che Barale esercitava sui canoni linguistici del senso comune era la violenza che il bisogno infinito della ragione esercita sul pensiero passivo e discontinuo che pervade la nostra esperienza quotidiana, e sulla rigidità delle sue forme di espressione. Capii che questo bisogno della ragione di autoorganizzarsi, di pervadere ogni esperienza con la propria irriducibile propensione all’ordine, non era solo il sigillo apposto da Barale al proprio stile espositivo, ma anche l’unico e inesauribile contenuto dei suoi ragionamenti; e per me fu come una rivelazione, come un contagio. Fui stupito da come quel linguaggio fosse capace, con grande duttilità e precisione, di assimilare e riformulare tesi di autori tanto diversi come Carnap, Quine, Husserl o Heidegger; e di come riuscisse a restituire a tutti il loro posto nel progetto intenzionale di una ragione che si cerca ovunque, che si vuole discorso assoluto sul tutto dell’esperienza.

Mi immaginai allora, dietro quella dettatura ostinata in un corso per la triennale di filosofia, un instancabile lavoro del pensiero sulla propria necessaria forma linguistica e sui suoi limiti; un lavoro consegnato nei decenni a migliaia di quei quaderni per appunti, che divennero ai miei occhi quasi una testimonianza del bisogno inesausto della ragione di venire in chiaro della propria stessa possibilità.

Prima di ascoltare e leggere Massimo Barale, non avevo idea che il desiderio di pensare potesse farsi mondo; che il linguaggio e le forme della ragione potessero espandersi e incarnarsi per propria forza interna, non a spese dell’esperienza ma come comprensione delle ragioni dell’esperienza. Che la ragione abbia una vita, e che il bisogno vitale della ragione sia il bisogno stesso di fare filosofia, è ciò che Barale è riuscito a farmi apprezzare; e per questo non avrò mai abbastanza gratitudine.

A Massimo Barale, di Edoardo Raimondi

Non solo un celebre filosofo, non solo un celebre studioso, non solo l’esigente professore che ho conosciuto durante i suoi corsi universitari, complessi ed enormemente preziosi. Per me Massimo Barale sarà sempre un maestro, il maestro che mi ha accompagnato con imperdibile passione soprattutto durante i miei ultimi due anni da studente universitario. Entusiasmo per la discussione, consigli, ammonimenti quando si aveva a che fare con la filosofia e con autori che a questa disciplina diedero la vita: tratti del suo modo di essere che mi hanno permesso di crescere enormemente. E non solo da un punto di vista di studio puramente accademico. Sapeva trasmettere la voglia di ricercare, la voglia di fare filosofia, conservando costantemente il desiderio di lottare contro qualsiasi deriva del Pensiero. Caratteristiche di chi sa trasmettere costantemente passione per la vita, uomo con cui mai avrei smesso di confrontarmi.

Un vero buon maestro, a cui sarò sempre grato e che continuerà a rappresentare un esempio per chiunque voglia intraprendere seriamente la strada della disciplina filosofica.

Il ricordo di Michela Santangelo

Mi ricordo, durante l’esame sull’Antropologia dal punto di vista pragmatico, la sua buona volontà nell’ascoltare la mia esposizione. Uno sforzo, forse, speculare al mio, nell’interpretare quegli appunti inconfondibili, che facevano terrore, ma che si rivelarono, inaspettatamente, strumenti miei per la comprensione di Kant. Da quel giorno capii che Kant potevo comprenderlo solo attraverso qualcun altro, e altri linguaggi, che non fossero quelli “kantiani”. Per il mio percorso questa fu un’acquisizione essenziale, di fondamento alla mia consapevolezza filosofica, che mi fece sentire meno smarrita negli anni a venire, o meno spaventata dello smarrimento.
Al termine dell’esame mi chiese quale fosse stato il tema della mia tesi triennale e, mentre rispondevo, si alzò cercando una penna, fece il giro del tavolo e mi diede un’affettuosa pacca sulla spalla, apprezzando la scelta che avevo fatto di mettere insieme psicanalisi freudiana e psicologia platonica. Sembrò incoraggiarmi. Anche per questo conservo un buon ricordo.

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Ricordando Massimo Barale – I parte

26 Saturday Sep 2015

Posted by Danilo Manca in Senza categoria

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Martina Ferrari, Massimo Barale, Osvaldo Ottaviani, Paolo Godani, Simone Seminara, Valentina Balestracci

Due giorni fa purtroppo è venuto a mancare Massimo BARALE, docente emerito di Filosofia Teoretica presso l’Università di Pisa. In qualche modo il Prof. Barale ha ispirato la nascita del nostro gruppo di ricerca, sin da quando nell’a.a. 2010/2011 accolse all’interno del proprio corso il seminario di lettura hegeliane nato un anno prima per iniziativa di una manciata di studenti. In quel contesto sono nate molte amicizie, anche qualche amore, che poi hanno formato l’ossatura del nostro gruppo di ricerca.

Vogliamo rendergli omaggio raccogliendo su questo sito i ricordi di coloro che sono stati suoi studenti. Chiunque voglia può inviare il suo personale ricordo all’indirizzo email zetesis@unipi.it.

Di seguito i primi ricordi pervenutici:

Il ricordo di Paolo GODANI

Agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso era piuttosto raro che uno studente pisano fuorisede avesse un telefono in casa. Il cellulare, probabilmente, non sapevamo neppure che esistesse. Saranno stati in molti a scendere in Piazza delle Vettovaglie o in Borgo Stretto per chiamare il loro correlatore di tesi da un telefono pubblico. Un po’ intimiditi dal tono stentoreo della voce di là dal filo, si accorgevano presto, piuttosto stupiti, che sì, la loro tesi era stata letta e aveva persino suscitato alcune domande pertinenti. Il correlatore in questione da non molto tempo era rientrato a Pisa, dopo aver insegnato all’Università di Genova. Erano pochi, probabilmente, gli studenti che notandolo aggirarsi con piglio sicuro per i corridoi del Dipartimento di filosofia sapessero riconoscerlo. A vederlo così, senza che fosse possibile attribuirgli un nome, dava l’impressione, poi confermata dai fatti, che fosse due cose in una: un professore perfettamente integrato nell’istituzione accademica e un filosofo che guardava all’università come ad una parte, neppure troppo significativa, di una istituzione più grande e più rigorosa, a cui solo pareva in fondo rivolgersi la sua attenzione. Avremo poi saputo che era uso chiamarla “ragione”. All’inizio sembrava che la si dovesse intendere sempre scritta con la maiuscola, poi si comprendeva come non fosse che il modo in cui le cose, le nostre cose infime di tutti i giorni come quelle più elevate che eravamo lì per apprendere, sono organizzate. Solo che, come le cose stesse, che quasi sempre non si mostrano per il verso giusto e sembrano lo facciano apposta ad intricarsi per diventare irriconoscibili, anche la loro ragione si presentava quasi sempre, nelle aule dove Massimo Barale teneva le sue lezioni, nella forma di un periodare lungo e complesso, dove il verbo immancabilmente non stava al posto in cui lo si stava aspettando, e dove gli incisi, le parentesi, le paratassi, portavano la frase sempre sulla soglia dell’anacoluto, senza però mai superarla. Per noi tutti era l’esperienza della mente che, invece di vagare un po’ a caso per i diversi luoghi della vita o di dedicarsi al solo mondo limpido delle idee, si tende per raccogliere e tenere insieme l’esperienza e i suoi principi. Di solito ne uscivamo affaticati, talvolta perplessi. Sempre, però, con la certezza di trovarci di fronte a qualcuno che amava la filosofia e, in qualche modo, era ricambiato. Non potevamo chiedere di meglio. Avevamo bisogno di sapere che la passione del pensiero non solo esiste, ma si conserva e talvolta persino si approfondisce con il passare degli anni. Massimo Barale era per noi l’immagine precisa di quella passione, l’evidenza che una vita filosofica è possibile.

Il ricordo di Valentina BALESTRACCI

La mia prima lezione all’università fu con Massimo Barale, e così anche il mio primo esame.
All’appello tutti eravamo terrorizzati e quando fu il mio turno ricordo che con autorità e pacatezza al medesimo tempo, (caratteristiche che lo contraddistingue vano)  disse: “signorina, una domanda preliminare al suo esame. Mi dica com’è divisa la Critica della ragion pura.”
Risposi, l’esame proseguì un po’ barcollando. Ricordo come il professore sbottò con un sorriso dicendo ” ma signorina! Una funzione regolativa! Le idee hanno una funzione regolativa!”.
Decise di premiarmi per l’impegno, aggiungendo che tuttavia questo non sarebbe bastato. Mi consigliò, per la volta successiva, di studiare con metodo.
Dei contenuti di quel primo esame, sostenuto con poca esperienza, rimase forse poco, ma fu un incoraggiamento a procedere. Fu così che continuai a frequentare quel seminario hegeliano che il professor Barale decise di rendere parte integrante del suo corso. Il seminario si protrasse autonomamente anche a corso finito e per me rappresentò il vero accesso alla filosofia.

Il ricordo di Martina FERRARI
Massimo Barale è, per me, il modello di un modo di filosofare onesto, vigoroso e di ampio respiro e testimonianza della possibilità di vivere l’Accademia senza perdere la freschezza e la volontà di andare al fondamento delle cose e condividere il proprio lavoro con grande generosità ma anche accortezza. Chi ha avuto la pazienza e la voglia di provare a comprendere il suo modo di insegnare, a volte ostico e tortuoso, ha potuto scoprire un pensiero complesso, continuamente in fieri e a tratti illuminante, lo studio del quale porterà sempre nuovi chiarimenti e spunti importanti per la propria ricerca. Chi in più ha avuto la fortuna di scorgere l’uomo che si celava dietro al filosofo, ha incontrato una persona che, nella dedizione totalizzante alla sua “missione” filosofica, non ha però perso i tratti della spontaneità, della genuinità e della dolcezza. Credo che Massimo Barale considerasse la filosofia una delle cose belle della vita, che le conferisse un ruolo centrale senza però per questo sottovalutare o ignorare il valore delle altre cose belle e importanti. Il suo era il pensiero di un uomo che vive e ama molte cose insieme al pensare. Per questo ritengo che la sua testimonianza filosofica sia preziosa e che il ricordo della sua persona sia un grosso stimolo a pensare con rigore e audacia e a vivere sempre più pienamente la propria esperienza del e nel mondo.

Il ricordo di Osvaldo OTTAVIANI

Non posso dire di essere stato un “allievo” di Massimo Barale nel senso tecnico della parola, anche se ovviamente devo molto (come molti altri, del resto) alle pagine che ha dedicato a “Kant e il metodo della filosofia”. Avevo seguito il suo corso di filosofia teoretica per la specialistica, originariamente dedicato a Kant e Husserl, che finì col trasformarsi in una lunga  e, a tratti, appassionata discussione sulla funzione delle idee nella Dialettica trascendentale. All’ultima lezione, quasi per scusarsi di non aver avuto il tempo di concludere il suo discorso, fece dono a ogni partecipante di una copia di un volume da lui curato, “Dimensioni della soggettività”, che conteneva un suo lungo contributo da cui aveva tratto ispirazione per il corso. Scrisse una dedicata personalizzata in ogni copia del volume, a ricordo del lavoro svolto in classe. Ricordo che la cosa mi colpì molto, per la signorilità del gesto, che denotava un grande amore per l’insegnamento e un grande affetto per gli studenti.  Andando a leggere il testo (per preparare l’esame), mi accorsi con un certo stupore che aveva apportato delle ulteriori correzioni a penna su ogni copia, quasi a rimarcare il carattere mai conclusivo dell’attività filosofica.

Il ricordo di Simone SEMINARA 

Luglio 2005, Sicilia, caldo torrido. Io chiuso in casa a mandare giù a memoria i tuoi dettati sulla Fenomenologia dello Spirito. Un postino decisamente “ignaro di sé” suona al citofono, per l’ennesima volta “a mano aperta”, io che mi affaccio dal balcone e lo minaccio di morte. Poi il giorno dell’esame, e mi chiedi dove ho trovato quei riferimenti al giovane Hegel. “Nella sua settima lezione, professore” (con una faccia che manco fossi al militare!). Infine, quella volta al bar Britannia, in cui mi riveli di essere milanista e che il gol di mano segnato da Adriano nel derby te lo sogni ancora. Mi mancherai, Massimo Barale.

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