Tre giorni fa purtroppo è venuto a mancare Massimo BARALE, docente emerito di Filosofia Teoretica presso l’Università di Pisa. In qualche modo il Prof. Barale ha ispirato la nascita del nostro gruppo di ricerca, sin da quando nell’a.a. 2010/2011 accolse all’interno del proprio corso il seminario di lettura hegeliane nato un anno prima per iniziativa di una manciata di studenti. In quel contesto sono nate molte amicizie, anche qualche amore, che poi hanno formato l’ossatura del nostro gruppo di ricerca.
Vogliamo rendergli omaggio raccogliendo su questo sito i ricordi di coloro che sono stati suoi studenti. Chiunque voglia può inviare il suo personale ricordo all’indirizzo email zetesis@unipi.it.
Di seguito i ricordi di Danilo Manca, Federico Orsini e Carla Sala:
Il ricordo di Danilo Manca
Sono stato uno degli ultimi allievi di Massimo Barale. Formalmente lui è stato il correlatore della mia tesi specialistica. Di fatto per me è stato come un nonno. Dico nonno e non padre per delle ragioni specifiche: i padri ti fanno crescere, t’insegnano cos’è la vita, a volte prendendoti per mano, altre volte mettendoti in discussione; i nonni, invece, spesso ti coccolano, e Massimo Barale mi ha coccolato tanto: ha dato tanta fiducia a un progetto che io desideravo intraprendere con tutto il cuore e tutta la mente, ma in cui temevo di imbarcarmi. Lui, prima di chiunque altro, mi ha spronato a tentare quel confronto tra Hegel e Husserl che tutt’oggi aspetta ancora di essere realizzato adeguatamente. In alcuni casi, i nonni ti ammoniscono, ti segnalano le insidie, e lui ha fatto anche questo: Massimo Barale mi ha iniziato al mondo accademico, mi ha fatto vedere limiti e potenzialità. Voglio ricordare tre date che mi legano a lui.
La prima è il 29 settembre 2009, giorno della discussione della mia tesi di laurea triennale su “Husserl e l’a priori della storia”. Con Massimo Barale avevo iniziato a studiare Husserl un anno e mezzo prima, quando avevo seguito il suo corso su Crisi delle scienze europee. Poi avevo scelto come relatore il Prof. Ferrarin, e con Barale non avevo più avuto contatti. Appena seppi che sarebbe stato il presidente della mia commissione di laurea, un po’ temevo il suo giudizio. Mentre parlavo, Massimo Barale sembrava ascoltarmi compiaciuto, occhiali bassi, sguardo in alto, sorriso disegnato sul volto. Quando tutto finì, mio padre si avvicinò a lui per salutarlo: “Professore, lei mi ricorda Danilo Dolci!”, e lui: “eh, ho avuto anche delle frequentazioni con lui in passato”. Io stavo morendo d’imbarazzo. Ma Danilo Dolci è il poeta per cui ho questo nome. Io sono un’eccezione nel mio Sud. Non ho il nome di mio nonno, ma forse mio padre dando quel nome a Massimo Barale mi aveva presentato mio nonno. Andai a ricevimento da lui tempo dopo, gli chiesi se si ricordava di me, e lui mi rispose: “Quel pizzetto non si può dimenticare”, alludendo a una certa somiglianza con il pizzetto di Husserl. Da quel giorno abbiamo iniziato a parlare di Husserl, Kant, Hegel, Sartre e Heidegger.
L’altra data è il 21 settembre 2012, giorno della discussione della mia tesi di laurea specialistica. Circa un’ora prima della discussione Massimo Barale mi chiamò al cellulare, disse che stava andando a comprare il latte, ma nel frattempo voleva “accennarmi” quello che avrebbe detto in sede di laurea. Mi tenne al telefono per 15 minuti. E poi ricordo i fogli svolazzanti, scritti con penne di diversi colori, che cacciava dall’invisibile cilindro del suo acume filosofico e che leggeva come commento al mio lavoro.
L’ultima data è il 21 luglio 2015. Non lo chiamavo al cellulare da tempo, ma volevo contattarlo per regalargli il volume su “Hegel e la fenomenologia trascendentale”, curato con Elisa Magrì e Alfredo Ferrarin. Lo volevo rendere partecipe del raggiungimento della prima tappa di quel percorso filosofico verso cui mi aveva spronato. Avevo deciso di portare sempre con me una copia del libro sperando di incontrarlo per caso in dipartimento. Quel giorno assistevo agli esami Leonardo Amoroso, avevamo appena finito, andavamo via, vidi la porta socchiusa dello studio di Massimo Barale, bussai ed entrai. Era al telefono. “Vorrei darle questo”. Lesse il titolo, mi fece un occhiolino, sporse le labbra in segno d’approvazione, e mi fece segno che ci saremmo sentiti in futuro, un futuro che non sarebbe mai più arrivato.
RIGOR THEORIAE di Federico Orsini
Caro professor Barale, voglio ricordarti così, per quel tuo stile schietto e spigliato, mirabile sintesi tra la prosa del Carducci che racconta la sua improbabile estate a San Miniato e il Kant più ostico della Ragion Pura, per quel rosso paonazzo che podeva dire tanto del tuo fervore transumano nell’insegnamento quanto della tua dedicazione ai trionfi di Bacco, voglio onorarti come se il tuo epitaffio fosse il miglior ricordo che avresti di te stesso se potessi leggerlo nel giorno del tuo funerale (sempre che le ‘condizioni’, verbigrazia, di un funerale che ‘umano in generale possa dirsi’ lo permettano):
“Se qualcuno dubitasse della capacità della macchina umana di implementare un tale progetto (scil. la ragione) a cui la rimandano e la vincolano tratti distintivi dell’ente ad essa affidato, quali la sua vocazione discorsiva e l’implicita vocazione alla ragionevolezza, che in nessun momento coincidono con la capacità di calcolo che pure promuovono e che sembrano piuttosto solidali con la costituzione intenzionale di enti che si mettono continuamente e interamente in gioco e per i quali nulla può essere, venire alla luce, prendere forma, se non in quelle forme nelle quali diventa qualcosa di percettibile e pensabile da parte loro, ovvero, da parte di soggetti che in quelle stesse forme si percepiscono e si pensano e per ciascuno dei quali, dunque, le forme in cui qualcosa è sono in primo luogo, originariamente e insuperabilmente, le forme in cui egli stesso è, le forme del suo soggettivo esprimersi e costituirsi – se qualcuno, dicevo, dubitasse che l’irriducibile costituzione progettuale e intenzionale che distingue la maniera d’essere di enti sotto questo profilo diversi, ontologicamente diversi da tutti gli altri, trovi spazio nella macchina a cui la natura li ha affidati (in una macchina che proprio in ragione di quella loro costituzione progettuale e intenzionale sembra essersi evoluta e sviluppata) – chi di ciò dubitasse è invitato a leggersi o rileggersi i casi raccolti in un libro fortunato intitolato Descartes Error. Emotion, Reason and the Human Brain.” (Massimo Barale)
Il ricordo di Carla Sala
Frugando nei ricordi che mi legano al professor Barale, al momento della notizia della sua scomparsa, in particolare, un episodio mi ha riportato alla memoria l’ethos prettamente improntato alla dianoia di quest’uomo timido, di questo pensatore solitario.
Durante il primo corso che seguii con lui, ebbi l’esigenza di assentarmi per un paio di lezioni, quelle che dovevano concludere il suo corso sulla funzione legislativa dell’intelletto nella prima Critica kantiana. Gli chiesi allora se poteva darmi in anticipo gli appunti che dovevano condurre a conclusione il suo ragionamento. La sua risposta fu: “Signorina, io non scrivo in anticipo le mie lezioni, la mattina mi alzo alle 05:00, mi raccolgo in pensiero e scrivo ciò che vi proporrò, in lingua tedesca. Quindi è, per me, impossibile accontentarla”.
Questo è ciò che ricordo, la mia personale rielaborazione, ma la sostanza di questa, seppur, personale interpretazione è che, il professor Barale, uomo dall’apperenza schiva, si lasciava trasportare dall’intuizione intellettuale, dedicava le prime ore del mattino al vaglio dei propri ragionamenti che, inesorabilmente, delineavano la statura di un uomo di pensiero che portava alla luce accezioni adombrate dei sistemi dei più importanti filosofi occidentali.
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